Diritto del lavoro in trasformazione by Luisa Corazza Roberto Romei

Diritto del lavoro in trasformazione by Luisa Corazza Roberto Romei

autore:Luisa, Corazza,Roberto, Romei [Corazza, Luisa Romei, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Diritto, Studi e Ricerche
ISBN: 9788815318480
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2014-10-14T22:00:00+00:00


8. La precarietà «estesa» e la stabilità «improbabile» degli anni Dieci

La normativa lavoristica dell’inizio del XXI secolo, fino a quella stravolgente dei primi anni Dieci, sta infatti smantellando la residua unitarietà della materia e di alcune sue premesse fino ad ora ritenute ineliminabili, in primo luogo l’inderogabilità, elemento costitutivo del diritto del lavoro così come lo abbiamo conosciuto: il «collegato lavoro» del 2010 mina l’inderogabilità delle norme legali e collettive con disposizioni di natura processuale, la complessa vicenda Fiat, con la scelta di accordi «separati», emargina di fatto il più rappresentativo sindacato dei metalmeccanici, il famigerato «art. 8» sconvolge il sistema delle fonti nel diritto del lavoro, attribuendo al contratto «di prossimità» l’erga omnes e la derogabilità in pejus al contratto di livello superiore e addirittura alla legge [per tutti, Romei 2012].

Il rapporto di lavoro «tipo» ai tempi del mercato finanziario globalizzato è, quindi, quasi l’esatto contrario di quello promessoci 15-20 anni fa. Vi regna la «precarietà», sia per lo sfollamento (genuino e «voluto» oppure fasullo e indotto) della fattispecie tipica «stabile», sia per la penetrazione all’interno di essa di una condizione di progressiva attenuazione di tutele. A questa nuova nozione estesa di precarietà, forse più inafferrabile e sociologica, fa, d’altra parte, da contraltare una diversa nozione di stabilità, in questo caso più riduttiva e affievolita; lo vedremo alla fine.

In un contesto costellato di rapporti a termine variamente connotati, la stessa tutela «reale» contro il licenziamento illegittimo perde quasi ragione d’essere. L’art. 18, anzi, dopo l’intervento razionalizzante del 1990, viene lasciato intatto per più di vent’anni: vi contribuiscono – come si è detto – sia il drastico calo dei lavoratori a tempo indeterminato (gli unici ad essere di fatto interessati ad una tutela reale dell’aspettativa di lavorare indisturbati fino alla pensione), sia la frammentazione – non sempre fraudolenta – delle unità produttive al di sotto del limite dei 15 dipendenti (oggi, ben il 95% delle imprese manifatturiere e dei servizi ha meno di 10 dipendenti, e addirittura il 65% non ha alcun dipendente!). Si ritiene, perciò, che la sua modifica radicale sia inutile, nonché politicamente controproducente, lasciandolo davvero ad una pura dimensione simbolica [interessanti considerazioni in Cerreta 2004]. Del resto, i giudici, che pure avrebbero un ruolo decisivo nel conflitto/bilanciamento tra potere organizzativo dell’imprenditore e interesse del lavoratore all’integrità della condizione di occupato [Nogler 2007, Siotto 2011, Nuzzo 2012], molto di rado applicano l’art. 18 [Ales 2000], anche se ciò può forse testimoniare del suo forte effetto deterrente nei confronti di decisioni imprenditoriali eccessivamente disinvolte [Napoli 2002].

Nel frattempo, la flessibilità subisce una sorta di mutazione morfologica. Essa, nella percezione sociale, da principio non richiama debolezza, ma semplicemente un’attività meno strutturata (e regolata). Quando, col passar del tempo, comincia però ad assumere un significato poco piacevole, sempre più associato a precarietà, le si trova subito una declinazione più gradevole; la nuova parola è, com’è noto, «flexicurity», che sta ad indicare la convivenza della flessibilità con la sicurezza (cioè con le tutele): difficile combinazione, fatta al tempo stesso di libertà quasi assoluta



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